DALLA MORTE ALLA VITA

Ulisse discende nell’Ade, il mondo della morte, per interrogare l’indovino cieco Tiresia. Chiede ad un morto di indicargli la via di casa, la via della vita. Il viaggio porta anche a questo, porta a fare i conti con la meta finale, il senso di tutta una esistenza. Non è il caso di intristirsi ma di essere seri. La vita è cosa seria! Per riflettere ancora su questa dimensione guardiamo la scena finale di un film che conosciamo bene, tratto dal più bel racconto di Stephen King: “Stand by me”. Il gruppo di amici di terza media, dei ragazzini desiderosi di aprirsi alla vita, si trova, alla fine di un periglioso percorso a piedi tra le foreste del Maine, al cospetto del corpo, ormai privo di vita, del loro compagno Ray Brower, travolto e ucciso dal treno. Poco prima, un gruppo di bulletti, poco più grandi di loro e lo stesso alla ricerca del corpo, col solo scopo di diventare famosi, aveva sfidato la sorte gareggiando a bordo di auto potenti contro il traffico delle strade americane. Entrambe i gruppetti, i ragazzini e i bulletti, cercano risposte alla vita, e le cercano confrontandosi con la morte. Chi spavaldo e incosciente, chi trepido e colmo di sensi di colpa. I due approcci sono molto differenti e conducono a conclusioni molto diverse.

Partendo da questi pensieri anche i ragazzi del lab provano a dare un senso razionale a ciò che un senso sembra non avere. Il pensatore naturalista Eraclito, ricorda Virginia, aveva ragione: la morte non deve spaventarci, essa non è altro che l’incessante mutare delle cose, è il fuoco, archè di ciò che sempre finisce e sempre ricomincia, la morte è il motore della vita; arrovellarsi su questi temi non ha senso, afferma un altro, cercare di comprendere la vita ci fa dimenticare di vivere, sembra di ascoltare ancora il grande sofista Gorgia mentre dichiara “Nulla esiste, se esistesse non lo conosceremmo, se lo conoscessimo non lo sapremmo dire!” Meglio vivere nell’ignoranza, dunque, che nella consapevolezza che l’obiettivo della ragione è solo un noumeno irraggiungibile, e impensabile, come ci ricorda Kant. La ragione non può pensare l’impensabile, meglio affidarsi alla poesia, poiché solo i poeti posseggono le chiavi dell’Essere e sono in grado di affacciarsi, ma solo per un attimo, sull’abisso, l’abgrund, dell’esistenza! (M.Heidegger)

Qualcun altro afferma che la morte andrebbe sempre sfidata, come fanno i bulli nel film, altri invece ci ricordano come sia meglio convivere e fare pace con una compagna di strada tanto ingombrante. Aurora invoca lo stupore e il silenzio, di fronte alla morte, e alla vita. Mentre un altro ricorda Epicuro e la sua atarassia: vita e morte sono alternative, quando c’è una manca l’altra, e allora perché occuparci di ciò che non ci riguarda? Per una semplicissima ragione, dice una ragazza quasi in segreto, dopo che tutti se ne sono andati: “perché ogni volta che nella memoria ricompare il sorriso di nonna, che se n’è andata quando avevo sei anni, non si accende in me solo una labile ed evanescente nostalgia. No, lei è ancora là, e il suo sorriso mi fa stare bene!”