PARTENZA: FAME DI VITA

Ci sono 25 iscritti al laboratorio di quest’anno. Dalla seconda alla quinta. Ragazzi e ragazze che insieme al prof indagano sul senso di ciò che accade nelle nostre esistenze quotidiane.

La partenza richiede subito un chiarimento: il prof, la scuola, mamma e papà, gli adulti in genere non hanno risposte pronte e preconfezionate, non ci sono certezze assolute da acquisire e a cui ubbidire ma c’è la voglia di indagare insieme il senso della verità, la voglia di mettersi in gioco, il desiderio di uscire da uno stato abbandono a cui ci siamo un po’ abituati. Il cantante Niccolò Fabi esprime in versi il disagio del nostro tempo, il disagio di sentirsi orfani di tante cose importanti. Così canta:

Sono un orfano di acqua e di cielo
Un frutto che da terra guarda il ramo
Orfano di origine e di storia
E di una chiara traiettoria
Sono orfano di valide occasioni

Del palpitare di un’idea con grandi ali
Di cibo sano e sane discussioni
Delle storie degli anziani, cordoni ombelicali
Orfano di tempo e silenzio
Dell’illusione e della sua disillusione
Di uno slancio che ci porti verso l’alto
Di una cometa da seguire, un maestro d’ascoltare
Di ogni mia giornata che è passata
Vissuta, buttata e mai restituita
Orfano della morte, e quindi della vita

Mi basterebbe essere padre di una buona idea
Mi basterebbe essere padre di una buona idea
Mi basterebbe essere padre di una buona idea
Mi basterebbe essere padre di una buona idea

Sono orfano…

Ci sentiamo orfani di tante realtà importanti: di traiettorie precise, di cibo sano, delle storie degli anziani, di tempo, orfani della morte e quindi della vita.ma soprattutto vorremmo essere padri di una buona idea.

Generare un’idea è faticoso e richiede tempo ed energie.

Il laboratorio di quest’anno ha per titolo “VIVO MORTO O X” e la domanda o le domande di fondo sono: “Quando sono vivo? Quando sono morto? E quando sono X (cioè pari, nullo)?

Nel 1968 lo scrittore Philip K. Dick pubblicò il suo capolavoro “Ma gli androidi sognano pecore elettriche” che poi diventerà, nel 1982, il film capolavoro di Ridley Scott “Blade Runner” con protagonista un giovanissimo e ancora sconosciuto Harrison Ford.

In un non lontano futuro gli umani hanno prodotto dei cloni, partendo dalla copia del DNA, che lavorino al posto loro come schiavi. Un gruppo di questi uomini-copia detti replicanti, un giorno, si ribella ai propri creatori. Questi creatori non sono divinità o sottili pensatori, ma un ingegnere chimico che è riuscito a replicare la vita, un po’ come il dottor Frankenstein del romanzo di Mary Shelley. Dei cacciatori di taglie chiamati appunto “Blade Runner” hanno il compito di individuare ed eliminare in replicanti ribelli. Ma chi sono queste copie? Che vita è la loro? Piangono, ridono, soffrono, si innamorano persino, ma non si ammalano e non si riproducono. Sono uomini o macchine? Che cosa li rende vivi?

Dal film del 1982 assistiamo all’incontro tra il capo dei ribelli e l’ingegnere- creatore:


L’esito del confronto è drammatico. “Voglio più vita”, dichiara, “E voglio sapere cos’è la morte”. L’ingegnere biochimico risponde che certi limiti non si possono superare e come risposta il replicante uccide il suo creatore, che chiama Padre. La forza diventa distruttiva e produce solo buio.

Siamo un po’ smarriti perché la vita ci affascina ma ci spaventa anche.

Il cantante che ha aperto il laboratorio con la sua canzone ci suggerisce di fare un bilancio e ci propone un viaggio “Fino al centro della vita”. Anche quando la vita chiede di pagare prezzi troppo alti e dolorosi. Il cantante/poeta racconta di aver attraversato il “dolore che fa male” certamente riferendosi all’esperienza lacerante della perdita per malattia della propria bimba. Ascoltiamo la canzone:

 

 

È stato un viaggio interstellare
Fino al centro della vita
Fino al male che fa male

La ricerca più ostinata
Di quel bene esistenziale
Che è cercare di piacersi
E di riuscire a fare in tempo
Io ci sono stato attento
Ho provato a starci attento

Diventi inventi anni vado a capo
Chiudo gli occhi e prendo fiato
Che mi bruciano le spalle
Per tutti i fuochi che ho acceso
E poi dimenticato

Che non era per scaldarsi
Ma per prendersi una luce
Puntare all’orizzonte
Avere i desideri
Chiaramente scritti in fronte
Mamma mia sono vent’anni
Mi son distratto e son passati

Ma i bilanci e le bilance lasciamoli pure
Ai nutrizionisti e alla pagine del Sole
Non mi misurare, non mi calcolare
Sono un’opinione
Sono un numero irreale
Il mio capitale vale solo mille vele
Basta un po’ di vento e mi prendo tutto il mare

E naufragare
Ma è stato un viaggio interstellare
Fino al centro della vita
Fino al male che fa male
La ricerca più ostinata
Di quel bene esistenziale
Che è cercare di piacersi
E di riuscire a fare in tempo
Io ci sono stato attento
Ho provato a starci attento

Fare assomigliare la tua vita ai desideri
E ricordarsi di essere sinceri

Far assomigliare la tua vita ai desideri
E ricordarsi di essere sinceri
Far assomigliare la tua vita ai desideri
E ricordarsi di essere sinceri
Far assomigliare la tua vita ai desideri
E ricordarsi di essere sinceri

Far assomigliare la tua vita ai desideri
Far assomigliare la tua vita ai desideri
Far assomigliare la tua vita ai desideri

 

Sarà anche per noi un viaggio fino al centro della vita per cercare il bene esistenziale per far assomigliare la nostra vita ai desideri, senza sconti, senza evitare ciò che potrebbe farci soffrire cercando tutto ciò che darà sapore.