Protesi

Chi, fin dalla più tenera età, utilizza gli occhiali, lo sa. Senza è un disastro! Il mondo sfugge, è incerto, ostile. Senza le lenti tutto diventa più difficile. A volte impossibile! Che lo si voglia o no, abbiamo bisogno di quelle protesi. Vivere al naturale, spesso ci si prospetta come una impresa pressoché inattuabile. “Vieni come sei, come as you are” cantava nel 1991 Kurt Cobain, leader del gruppo rock dei Nirvana. Il ritornello sembra quasi un invito e anche come un sogno irrealizzabile:

 

Kurt Cobain, cantante e poeta, finì tragicamente la sua esistenza col suicidio, stanco di ricorrere a continue protesi, diremmo “aiutini”, per dare un senso plausibile alla sua vita.

Negli anni ’80, tra gli adolescenti di allora, anche il prof, circolava un romanzo autobiografico. Era quasi d’obbligo leggerlo e conoscerlo e si intitolava “Cristiana F., noi i ragazzi dello zoo di Berlino” e narrava la vera storia di questa ragazzina che, in nella Berlino ovest dei primi anni ’70 si innamorava di un coetaneo, un adolescente come lei, poco più che quattordicenne. Niente di anormalo fino a qui se non fosse che la vicenda si svolge nell’andirivieni della stazione della metro zoo di Berlino dove ragazzi e ragazze fanno regolare uso di stupefacenti, eroina soprattutto, vendendo se stessi per acquistare la droga. La fiamma di Christiane si chiama Detlef e vorrebbe preservare l’amata dall’amaro destino che rovina la sua esistenza ma non ci riesce. Entrambe finiscono schiavi dell’eroina e della prostituzione nella ricerca quotidiana dei soldi per comperarsi una dose, nel desiderio continuo di vivere una pienezza di vita che sempre sfugge, vorrebbero essere eroi, almeno per un giorno, come cantava David Bowie, nella sua celebre canzone “Heroes”, che poi sarà colonna sonora del film tratto dal romanzo:

 


Christiane sopravvisse alla maledizione della tossicodipendenza, il suo amore acerbo no. Spesso, i cosiddetti aiutini, le protesi della vita, ci tradiscono e non ci lasciano nulla se non un senso di insoddisfazione e di vuoto. Un nulla inesorabile contro cui molti poeti hanno lottato. Ed è proprio ad un poeta che chiediamo di raccontarci questa continua ricerca di un sapore che resti, di una luce che non si dissolva: Charles Bukowski, poeta americano, di origini tedesche, morto in California nel 1994, che, verso i trent’anni, iniziò a scrivere per sopravvivere, spesso sotto l’effetto dell’eccesso di alcool, così descriveva quegli anni:

“Se succede qualcosa di brutto / si beve per dimenticare;
se succede qualcosa di bello / si beve per festeggiare;
e se non succede niente / si beve per far succedere qualcosa
.”

L’alcool lo tenne prigioniero sino alla fine dei suoi giorni e nemmeno la bellezza dei suoi versi riuscirono a scuoterlo dalla banalità:

Tutti dobbiamo morire, tutti quanti, che circo! Non fosse che per questo dovremmo amarci tutti quanti e invece no, siamo schiacciati dalle banalità, siamo divorati dal nulla
Nemmeno la forza di quel sentimento chiamato amore riuscì a scuoterlo dall’apatia, eppure i versi che cantano la sua ragazza sono sublimi:
Quando Dio creò l’amore

Quando Dio creò l’amore non ci ha aiutato molto 
quando Dio creò i cani non ha aiutato molto i cani 
quando Dio creò le piante fu una cosa nella norma 
quando Dio creò l’odio ci ha dato una normale cosa utile 
quando Dio creò Me creò Me 
quando Dio creò la scimmia stava dormendo 
quando creò la giraffa era ubriaco 
quando creò i narcotici era su di giri 
e quando creò il suicidio era a terra

Quando creò te distesa a letto 
sapeva cosa stava facendo 
era ubriaco e su di giri 
e creò le montagne e il mare e il fuoco 
allo stesso tempo

Ha fatto qualche errore 
ma quando creò te distesa a letto 
fece tutto il Suo Sacro Universo.

Talvolta l’amore aveva per lui più l’aspetto di una trappola che quello della redenzione salvifica:

In trappola

 
Non spogliare il mio amore
potresti trovare un manichino;
non spogliare il manichino
potresti trovare il mio amore.
 
Lei mi ha dimenticato
tanto tempo fa
 
Sta provandosi un cappello
nuovo
e sembra
più civetta
che mai
 
lei è una
bambina
e un manichino
e
morte.
 
non so odiare
questo.
 
non ha fatto
niente di
strano.
 
avrei voluto che
lo facesse.
 
Non sono facili consolazioni quelle che stiamo cercando. Non istruzioni per l’uso, che non ci sono. Ma vita. Protesi che ci consentano di vivere esistenze autentiche, anche quando ci mancano pezzi consistenti di noi stessi: